INFORMAZIONI AGGIUNTE PER UNA MIGLIORE COMPRENSIONE DEL DEGUSTAGGIO #6
a cura della CIAMCD#6 (acronimo di commissione per le informazioni aggiunte per una migliore comprensione del degustaggio #6)
IL CONTESTO ITALICO
Lo scandalo del metanolo e la vicenda dei Barolo Boys sono due eventi disgiunti, almeno apparentemente, ma le loro conseguenze si intrecciano strettamente amalgamandosi in una miscela altamente reattiva, un propellente che spingerà con forza la viticoltura italiana verso un progressivo seppur lento miglioramento. Questa spinta allontanerà il vino dal pantano in cui si era infilato: lo shock del metanolo è incredibile, ed è pazzesco che in diverse storie del vino non sia neanche citato. Ma cosa ha significato?
Il danno economico, sia per il mercato interno, sia per quello estero; la vergogna culturale per lo sfregio subito da una nazione che più o meno nello stesso periodo, con un’astuzia matematica, superava l’Inghilterra diventando la 5° potenza mondiale, crogiolandosi nell’illusione dell’invincibilità del made in Italy; i vastissimi traumi socio-culturali vissuti da tutta la popolazione italiana che convive da sempre col vino che costituisce uno dei pilastri della nostra identità et cetera. Tutto ciò ha contribuito a smuovere l’intera società e dopo un’immediata e insolita reazione iniziale, alcuni provvedimenti insolitamente duraturi – per una volta non legati semplicemente all’emergenza – e una pioggia di finanziamenti, il mondo del vino è tornato fra le proprie vigne ed è ripartito da sé, ribadendo le proprie peculiarità, rafforzandosi intuitivamente, seguendo alcune suggestioni che si rileveranno determinanti e trovandosi nel medio periodo in una posizione privilegiata, quasi per caso, anche se il caso c’entra poco.
Un’ultima cosa: quando sentite dire a qualcuno che grazie ai quei fatti il vino italiano ha raggiunto l’eccellenza mandatelo a cagare. E una analisi accurata degli avvenimenti, del loro svolgersi e del loro concatenarsi non ci pare sia stata ancora fatta. Partiamo dai due eventi trattandoli separatamente.
BAROLO BOYS & LA GRANDE FOLA
La vicenda dei Barolo Boys è ben più complessa del modo misticheggiante con cui oggi si suole raccontarla. La versione pomposa, senza mezzi termini, punta alla costruzione di un mito, senza raggiungere peraltro neanche il livello più modesto, ma pur sempre dignitoso, della favola. La versione pompata si sgonfia da sola per ridursi ad una “fola”. Come dice la filastrocca: “le fole sono le bugie, e hanno le gambe corte, corte è vicino a Roma, Roma città del mondo, il mondo è una patatina, Tina era la mia nonna, i vecchi sono pesanti e santi sono…” Bel termine, “fola”, che descrive un incrocio fra una bugia e una fiaba.
Nel nostro caso la fola racconta le avventure di un gruppo di coraggiosi ragazzi che si scontra con una masnada di retrogradi personaggi in bianco e nero, brutti, arcaici e cattivi, conducendoci verso il luminoso e rosso vino dell’avvenire. I buoni e coraggiosi da una parte, i cattivi e vetusti dall’altra. L’agognata e meritata vittoria va ai primi che innalzano il vino italiano fino alle vette estreme dell’orgasmo, dalle dimensioni mondiali. *in fondo la nota filmica
SECONDA PREMESSA (sì, seconda, non prima)
Racconti del genere, i primati, i dati presi a seconda di ciò che si vuol dire, le rappresentazioni mistiche di ciò che avvenne in Barolo e lo strano silenzio sulle vicende del metanolo sono stronzate che danneggiano tutti: i viticoltori, il vino e gli avventori e le avventrici. E anche il nostro Umore.
Lo ribadiamo:
1) il vino è un gioco senza frontiere;
2) il gusto, se guidato dalla curiosità, non conosce limiti;
3) i due piani descritti dal punto 1 e 2 si sovrappongono e vivono l’uno dell’altro, l’uno con l’altro et cetera;
2) basta con le stronzate, i francesi meritano almeno una menzione d’onore per essere stati i primi a inseguire la qualità in modo sistematico e continuo. L’esempio della rivoluzione dei Barolo Boys degli anni ‘80 del ventesimo secolo è come dire, imbarazzante.
Consultate la tabella.
La città di Bordeaux ha un’amministrazione rigorosa nelle scelte complesse della vendemmia, le cui date sono scelte da un conclave d’esperti e sono imposte a tutti, belli e brutti, pena la fucilazione (ci avete creduto? All’epoca non avevano ancora inventato i fucili), per garantire la qualità complessiva della produzione, e sono i primi ad aver definito disciplinari rigorosi per evitare trucchi e sofisticazioni (già a metà dell’800). La qualità dei vini prodotti è la priorità dei governatori della città da 600 anni, come gli introiti di questo commercio sono stati la prima voce in bilancio della città da secoli.
Nei primi anni ottanta solo il 10% dei vini italiani ha una denominazione d’origine.
Il metanolo e i Barolo Boys non ci proiettano nel cielo dell’eccellenza, ma sicuramente hanno il merito di allontanarci dalle barbarie.
Non vogliamo apparire come coloro che sputano nel calice da cui bevono! E per evitare fraintendimenti lo ripetiamo ancora: il vino è un gioco senza frontiere. In ogni caso per garantire la par-vino-in-condicio-veritas raccontiamo questo aneddoto: una produttrice che preferisce non essere citata – Nadia Curto – è stata invitata come ospite straniera a una esposizione dei vini bordolesi ottenendo un notevole successo, attirando frotte di produttori ed estimatori, incantati dal suo vino, che è andato a ruba. La borsa di Honk Hong, nell’apprendere che alcune sue bottiglie intonse troneggiavano sui nostri scaffali, ha reagito istericamente innalzando paurosamente il valore delle azioni dell’Escobrillo e portando l’enoteca verso l’agognata eccellenza internazionale….poi il suono della sveglia ha interrotto il bellissimo sogno dell’Oste.
Per essere disambigui tutto ciò che riguarda Nadia e Bordeaux è vero, e ahinoi, tutto ciò che riguarda l’Escobrillo e Honk Hong è falso.
LE CONDIZIONI DI VITA E VITE NELLE ZONE DEL BAROLO
Proviamo a raccontare le vicende senza dimenticarci delle sofferenze, delle lacrime, delle mortificazioni che sono il conto salato che ogni tentativo di cambiamento porta con sé.
Una strisciante tensione interna al tessuto sociale ed economico delle Langhe diventa sempre più radicale per radicalizzarsi in una frattura generazionale e culturale.
Non immaginate i territori del Barolo come è idealizzato oggi.
Come ha raccontato Nadia Curto, a parte alcuni produttori dai circuiti commerciali conclamati (che non devono essere confusi con i cattivi latifondisti, anzi alcuni di loro avevano partecipato attivamente alla resistenza nazifascista), il resto dei viticoltori vive una condizione di ricatto. C’è chi vende l’uva ed è vessato dai compratori che fanno il bello e il cattivo tempo, decidendo come e quando pagare quest’uva. C’è chi invece produce vino soprattutto in damigiana, appoggiandosi a volte a filiere corte di compratori e a volte a circuiti informali.
Insomma, sono pochi quelli che vivono degnamente con la produzione di vino. Alcuni altri sopravvivono con stile, altri ancora vivacchiano ma alcuni, i più giovani generalmente, vedono il mondo elevarsi sull’ebbrezza della modernità e a loro lo statu quo va molto molto stretto. D’altronde ogni comparto italiano è in rivolta. Pensate che negli anni ‘60 un operaio della fiat lavorava mezz’ora per sé e sette ore e mezza per l’azienda.
Le difficoltà economiche si uniscono alla consapevolezza del potenziale enorme di un territorio particolarmente vocato. Fra i tradizionalisti (non per questo cattivi), vi erano sia coloro che producevano il buon barolo del tempo, sia coloro che sopravvivevano un po’ peggio, accontentandosi.
Gli innovatori (non per questo buoni) erano coloro che si ritrovavano chiusi fra la cultura di un mondo arcaico e che non potevano godere di quell’autonomia finanziaria che solo un consenso familiare avrebbe potuto fornire per sperimentare una viticoltura diversa. D’altronde la Francia è vicina, meglio attrezzata, più attenta alla qualità e all’esportazione, ma la differenza di prezzo che esisteva fra i vini d’oltralpe e quelli nostrani non era proporzionale alla differenza qualitativa dei rispettivi vini. Tanto più che la Francia lavorava nel pieno delle proprie possibilità, mentre in Italia le potenzialità erano ancora tutte inespresse. E la convinzione, poi certezza, del mancato guadagno è in pectore il seme che genera quel frutto amaro da ingoiare prodotto, dalla staticità di una tradizione vitivinicola inadatta al dinamismo che il vino assumeva in ogni parte del mondo.
GLI SCHIERAMENTI: PRECISAZIONI
Tradizionalisti
1) Coloro che non sapevano di essere tradizionalisti ma così sono stati rappresentati.
La tradizione non era rappresentata da un’unità consapevole di valori condivisi e difesi collettivamente, bensì era incarnata da un insieme di viticoltori che non erano in alcun modo associati e per i quali la regola dell’ognuno da sé e per sé rappresentava un motivo d’orgoglio ed emancipazione. Probabilmente non hanno mai pensato di essere definiti tradizionalisti. Insomma, tutti costoro, singolarmente, erano convinti che il loro lavoro, la loro vita e i prodotti delle proprie viti fossero l’unico mo(n)do possibile.
Barolo Boys
2) Si è fuori strada anche se si pensa agli innovatori come dei furbetti che per accedere al mercato globale (americano in primis) erano disposti a distruggere la tradizione a colpi di barrique; si compie lo stesso errore, ma di segno opposto.
Questa impressione nasce da uno sfasamento percettivo, per cui l’idea che abbiamo oggi dell’eccessivo utilizzo della barrique si proietta in quei tempi portandoci a considerazioni errate. Non era la barrique ma l’idea stessa di qualità a imporsi in primis, liberandosi della quantità (valore assoluto in un’economia dominata dalla scarsità) e in secondo luogo interagendo con le tecniche e le tecnologie che, come abbiamo visto nel degustaggio sull’olio, non costituiscono un male in sé. Senza voler entrare nel merito, è la complessità della situazione a generare due versioni degli stessi accadimenti (un Elio Altare diseredato dal padre, un Elio Altare che disconosce il padre). E la particolare sequenza degli accadimenti, se la si volesse raccontare per filo e per segno non aggiungerebbe niente al dramma, alle lacerazioni e alle escoriazioni prodotte dai corpi inferti reciprocamente. Anche in questo passaggio si misura una differenza abissale fra le versioni che stridono: si sta parlando con coloro che hanno vinto la rivoluzione.
Si sente declamare ovunque l’importanza di ciò che han fatto.
T’aspetti orgoglio, ambizione e determinazione, mentre i commenti dei protagonisti, presentati come vincitori, virano sui propri eccessi, citano il fallimento o palesano rimorsi. Non è quello che viene raccontato dal fantadocufilm.
Non è il caso di cercare l’errore nella sequenza degli eventi, solitamente il bug si annida in una cattiva valutazione del contesto generale in rapporto al contesto contingente. La verità sta quindi nel mezzo? Giammai! Questo è un revanscismo dallo stile democristiano: un colpo al cerchio e uno alla botte. A noi piace la chiarezza di idee e la schiettezza espositiva di un politico texano, Hightower, che afferma: “a metà strada non troverete altro che una riga gialla e un Armadillo schiacciato”. Nel dissidio non esiste una verità ma delle ragioni, diversamente distribuite, che interessano poco. A noi interessa un processo mai indolore che avvolge interamente l’esistenza dell’umanità, da sempre, che genera fratture e sofferenze nelle persone, ma consente a tutta l’umanità di evolvere.
Vogliamo indagare le condizioni necessarie e sufficienti che stanno alla base di qualsiasi cambiamento. Sembra pazzesco, medioevale, ma non lo è.
CONDIZIONI GENERAZIONALI DEI CONTENDENTI
Pensate che sia molto diversa la condizione delle giovani generazioni metropolitane che, non avendo una continuità di reddito, devono farsi aiutare dai genitori o vivere con loro fino ai 33 canonici? Vengono dileggiati come bamboccioni ma per lo meno non vengono crocefissi. Quanti di costoro devono sentire e seguire o subire o lottare contro i tronfi genitori da cui dipendono!
Proprio loro, i più giovani, i più preparati, almeno, gli unici che possono traghettare il presente verso il futuro (che non sono per forza i buoni), al contrario dei loro genitori (che non per questo sono per forza i cattivi).
Riassumendo: da una parte abbiamo uno spaccato sociale (definito col senno del poi come tradizionalisti), che difende il proprio passato-presente. In questo si trovano d’accordo l’uno con l’altro, ma senza sentire il bisogno di accordarsi l’uno all’altro. E’ questo fattore che segna la differenza, e l’immancabile rottura.
Dall’altro lato, diversamente, i più giovani si avvicinano, prima informalmente poi in modo più sistematico, per condividere esperienze, tecniche, idee, nell’intento di rendere più rapido ed efficace quel processo di crescita che possa creare le competenze necessarie affinché il talento possa trasformarsi in un vino qualitativamente diverso. Oggi si direbbe che hanno fatto “sistema”. E ciò si è rilevato importantissimo.
E’ la condizione necessaria per il cambiamento.
Possiamo solo immaginare le tensioni familiari, gli ostracismi, le liti furibonde, la frustrazione da una parte e la delusione, altrettanto sincera, che i padri nutrivano per quei giovani fuori di testa.
Abbiamo parlato di “condizione necessaria” ma una condizione necessaria non è sufficiente per affermare un’idea. Dobbiamo presumere che, com’è d’uopo, avrebbero prevalso i tradizionalisti almeno per un certo periodo (anche perché sono i vecchi generalmente a morire per primi).
I genitori hanno la tendenza a insegnare ai propri figli come comportarsi partendo dal successo della propria esperienza senza considerare neppure lontanamente che il loro mondo è stato, ma non è più.
Ma questa lotta non è forse il banco di prova in cui i talenti più giovani misurano il proprio valore, la propria tenacia, le proprie idee? Spezziamo una lancia a favore dei tradizionalisti. Non tutti i giovani sono capaci, illuminati e tenaci. Non tutti sono vittime del presente ed eroi del futuro, anche se il futuro appartiene a loro. D’altronde i loro genitori ci sono passati e qualcosa hanno costruito: chi garantisce a costoro che ciò che hanno, per poco e vecchio che sia, non venga sprecato dall’incapacità della propria prole?
Eppure, come dice Marcus Du Sautoy, il mondo che ci circonda, se ci pensate bene, è il frutto delle innovazioni. Ogni cosa che ci circonda è stata considerata una follia, ma non tutte le follie definiscono il futuro.
Ogni tradizione, d’altronde, è un’innovazione ben riuscita.
La domanda sorge spontanea: cosa ha stravolto gli equilibri?
LO SCANDALO DEL METANOLO
Siamo nel 1984. Una legge sui monopoli di fatto detassa il metanolo rendendolo dieci volte più conveniente dello zucchero o dell’alcol etilico.
Immediatamente alcuni commercianti del vino (non viticoltori) vedono in ciò una buona opportunità per arrotondare il profitto aggiungendo il più economico metanolo alla percentuale alcolica del vino. Le due versioni della storia sono:
1) nel competere l’una con l’altra hanno aggiunto quantità sempre crescenti di metanolo. Le ditte inquisite furono una sessantina. Fra le più scandalose, la Ditta Odore Vincenzo di Incisa Scapaccino (Asti), Ditta Ciravegna Giovanni di Narzole (Cuneo), la ditta Fusco Antonio di Manduria (Taranto), ditta Baroncini Angelo di Solarolo (Ravenna), Industrie Enologiche Bernardi Primo s.n.c di Mezzano Inferiore.
Il Ciravegna s’è preso 14 anni, ma è stato scarcerato per un cavillo, adesso produce vino per i fatti suoi. Ci piacerebbe sapere se nel suo nuovo mestiere utilizza un approccio naturale, magari certificato.
2) come i pusher d’eroina, ogni qualvolta il prodotto della fermentazione d’uva passava di azienda in azienda – come se fosse un semilavorato – il taglio metanolico si sommava. Quest’ultima pare proprio una strunz… Quest’inconsapevolezza derubrica il reato da omicidio colposo aggravato a colposo.
Ciò che è certo è che 23 persone sono rimaste uccise, molte avvilite fisicamente per sempre e ci spiace apparire cinicamente economicisti, il consumo interno di vino è crollato del 30% e le esportazioni di ¼, mandando in crisi il settore, i lavoratori e le famiglie, e traumatizzando le generazioni successive….ancora oggi dobbiamo spiegare che la magnum è una magnum e non un bottiglione e il vino contenuto è migliore e non peggiore dello stesso vino nella bottiglia normale. Per non parlar del tappo a vite che incute tanto timore per quanto sia precisamente asettico e funzionale per i vini che non devono invecchiare..
Per completezza di dati i vini contraffatti erano venduti dai supermercati GS, Esselunga e Coop, e le prime 500 bottiglie sequestrate erano etichettate come barbera.
CALCOLI APPROSSIMATIVAMENTE ADEGUATI PER RENDERSI CONTO…
Ma su questo punto dobbiamo soffermarci e utilizzare un po’ di aritmetica.
Il metanolo è un prodotto naturale della fermentazione (e della distillazione) nella misura di 60/15 parti su 1000 rispetto all’alcol etilico. Un vecchio adagio riferendosi alla grappa dice che la testa e la coda si eliminano, ovvero la distillazione in primis produce metanolo e sostanze sgradevoli al gusto e all’olfatto.
La legge stabilisce un limite netto per i rossi, 30 parti su 1000 (25 da fonti meno affidabili, ci siamo già letti tutti i dpcm, non vorrete pure farci leggere un decreto dell’84?) e uno per i bianchi ovvero 20 parti su mille.
Nei vini avvelenati si sono trovati addirittura 7,6 grammi di metanolo al litro. Perché in tutti gli articoli i limiti di legge sono in ml e sulla stampa invece si usano i grammi? Mah. Comunque, il fattore di conversione è 0,792 indi per cui 7,6gr/0,792 ci dà una misura sui 10ml (9,56).
Diciamo, approssimativamente, (non ci interessa la precisione assoluta, bensì il ragionamento), 13ml su un litro che per semplicità consideriamo avere 10% di gradazione alcolica (100 ml d’alcol etilico). Quindi il metanolo è presente come minimo in 10 parti su 100 (almeno 3 volte in più dei limiti di legge). Abbastanza per far male, se si beve un calice o due, sufficiente ad accecare o a creare danni neurologici se si supera il litro, abbastanza per uccidere se si beve più di un litro o se si assume con continuità.
RISPARMIO, GUADAGNO E AVVELENAMENTO DI MASSA
Ma quale risparmio queste aziende ottengono nell’utilizzare il metanolo che costa così poco?
Nella nostra semplificazione 10 ml su un litro, un risparmio di 9/10 rispetto all’uso dello zucchero, col vantaggio ulteriore che il metanolo interagisce velocemente ed è più difficile venire sgamati da un controllo per l’edulcorazione.
Freghiamocene del costo del metanolo, consideriamolo gratuito: ciò non inficia il ragionamento, anzi. L’utilizzo del metanolo porta ad un aumento dell’1% del fatturato (dello 0,9% circa se si aggiunge il costo dell’alcool tossico).
Detta in soldoni metaforici, molte aziende, senza esitare un secondo, sono disposte ad avvelenare mezza Italia per aumentare il fatturato dell’1% (si parla di 6000, altre volte di 9000 ettolitri sequestrati, che sono 800.000 bottiglie; ma è la punta dell’iceberg, immaginate quelle non sequestrate, e quelle distribuite nei due anni precedenti?).
Ma forse possiamo farcene un’idea. Si calcola che siano state usate 2,5t di metanolo.
Sono 2500000gr. Giusto? 3156565millilitri di metanolo.
Sono circa 350.000 bottiglie.
WoW!
Possibile che un’azienda del cuneese producesse tutte queste bottiglie?
La risposta sta nel fatto che queste aziende non erano aziende vitivinicole, bensì entità commerciali legate alla chimica alimentare.
E questo è il mondo della grande distribuzione. Sai, chiaro, che non intendiamo dire che la GDO avvelena sistematicamente le persone, diciamo semplicemente che in questo mondo l’1% può far la differenza, alcune volte differenziando la nostra vita verso l’aldilà.
Tenetelo presente quando si parla del rapporto qualità/prezzo. Certo il mercato del vino di oggi non è quello di ieri, e i suoi clienti neanche. Ma il margine, in un regime di concorrenza in cui i prodotti perdono l’anima per diventare merci è ancora ridotto. Nei prodotti a più alta componente immateriale, emozionale, ciò rimane vero, ma in misura minore. Ma non è il vino in sé ad essere l’entità discriminante bensì il marketing (anzi il neuromarketing + il branding).
TESI+ANTITESI=SINTESI
Il metanolo produce uno shock pazzesco, il vino è comunque patrimonio genetico dell’italiche genti fin dai tempi dei romani. Per una volta ci troviamo d’accordo con il Montanelli che ci dice che i Greci sono arrivati ovunque crescesse l’ulivo e i romani ovunque crescesse la vite.
Lo scandalo del metanolo fa crollare il mercato interno del vino di circa il 37% di ettolitri e la perdita di un quarto del valore dell’anno precedente. Le esportazioni scendono da 18 milioni di ettolitri a poco più di 10, anche se il valore di questa diminuzione è del 25%, mentre 20 milioni di ettolitri rimangono invenduti.
I cosiddetti tradizionalisti, la cui forza e i cui redditi si basavano su un sistema collaudato, stabile o precario, di filiere distributive patiscono molto di più la crisi, e le successive misure anticrisi (10 miliardi di lire stanziati) cadono con tipico stile italiano a pioggia e favoriscono gli innovatori. Questo cambia gli equilibri, ma il fattore che fa la differenza è un altro: i tradizionalisti non si erano mai posti il problema del cambiamento e sicuri del fatto proprio non hanno mai pensato di fare squadra. Mentre i più giovani sono arrabbiati, sono affamati, hanno osato e sperimentato insieme, sono dinamici non perché giovani, bensì perché hanno capito il valore di un processo di condivisione, di co-aspirazione, reagiscono compatti, certo ci sono differenze di vedute, ma sono visuali diversamente ma decisamente rivolti al futuro.
I giochi sono fatti: è sufficiente l’arrivo di un giovane americano, sgamato e rampante, ma che ama sul serio le langhe e il barolo e ne favorisce la diffusione sul mercato mondiale. Per poi pentirsi …di cosa? Di aver danneggiato il Barolo. Su questo punto lascio a voi il neurone.
In quest’arena non viene propriamente lanciato il Barolo (anche lui, per carità) bensì l’esperienza di quei produttori che hanno concretizzato i propri saperi e la propria passione in uno spettro di vini diversi l’uno dall’altro, accumunati solo (solo?) dal fatto di interagire con la ricchezza degli stimoli di ogni genere, proveniente dagli ambienti più diversi, e di trasportarli nell’esperienza col (col!) vino.
Il vino che rimane uguale a se stesso racconta l’immobilismo esperienziale del viticoltore. Un vino non può essere uguale a se stesso anno dopo anno, vista l’importanza del clima, e tanti altri fattori. In questo caso si parla di vino addomesticato.
D’altronde anche di fronte alle differenze di anno in anno si percepisce alcune volte lo stile immutato di un viticoltore. È difficile che costui rimanga indifferente all’ambiente che lo circonda e abiuri completamente la sperimentazione: eppure succede.
E come hanno raccontato Claudio e Nadia gli eccessi, nell’uso della barrique, nell’abuso tecnologico, nella prevalere della tecnica sulla natura, si sono stemperati abbastanza in fretta.
Non per tutti, certo, ma ciò non può ricadere su tutti.
E questo è un elemento tipico della dialettica fra tradizione e innovazione: finché non accade una crisi economica, ambientale, sociale, climatica, la prima tende a prevalere sulla seconda e non per merito o colpa dei tradizionalisti, ma perché è tipicamente umano considerare ciò che si ha più importante di ciò che si potrebbe avere, anzi, possiamo eliminare il condizionale, di ciò che si può avere.
Citiamo un autore di fantascienza:
1) tutto quello che è al mondo quando nasci è normale e banale ed è semplicemente parte del modo in cui il mondo funziona;
2) Tutto quello che viene inventato dai tuoi 15 ai tuoi 35 è nuovo, eccitante e rivoluzionario e con un po’ di fortuna potresti fare carriera usandolo;
3) Tutto quello che viene inventato dopo i tuoi 35 anni è contro l’ordine naturale delle cose (e per alcuni anche l’inizio della fine della civiltà che conosciamo).
* Nota filmica – Pop (forse)
Se volete impegnarvi in un esercizio balistico di astratte connessioni vi domando: perché nell’iperfantadocu vengono riproposte più volte le immagini dell’abbattimento del muro di Berlino?
Il film Barolo Boys è un po’ tutto sfa(l)sato, la descrizione del mondo tradizionale ci rimanda a un mondo lontanissimo dove tutto sembra pazzesco, arretrato e medioevale.
Poi noti gli artifizi e riprendi una giusta prospettiva: perché le immagini della caduta di Berlino? Al momento non ci fai caso ma poi ci si rende conto che il muro è caduto 4 anni dopo. Perché inserire quei fatti? Allora si dice che Elio, rompendo le botti, distruggeva il muro che separava il Barolo dal futuro.
1) abbattere il muro di Berlino era una cosa epocale, ma rompere una botte vecchia cosa significa? Chi riuniva? Il barolo al mercato americano? Alcune volte gli statunitensi non hanno il senso della misura. Oppure i barolo Boys sono stati un esempio per le genti dell’est che si saran detti: in Barolo hanno rotto col passato senza aver timore dei due carabinieri ivi stanziati. Per cui cosa può farci la Stasi o i carro armati sovietici? Niente! La prossima volta che mia figlia rompe un piatto le faccio un filmato e aggiungo le immagini delle torri gemelle. Il collegamento? Una società che va in frantumi, attraverso grandi e piccoli disastri, che hanno una radice comune.
La rottura delle botti, la rottura generazionale è stata giudicata un’esagerazione, la caduta del muro ha spalancato le porte ad altre tensioni. Il sospetto però è che il regista volesse dirci qualcos’altro. La voglia di lanciare il barolo nel mondo anticipava di poco l’apertura totale dei mercati, che avrebbe consentito cosa? Questo sì che è veramente yankee. La rottura delle botti non ha influito sull’export del Barolo, come l’abbattimento del muro non ha rilanciato l’edilizia nelle langhe. La Cina aveva iniziato il suo sviluppo a fianco dell’occidente ben prima, “non importa che il gatto sia bianco o nero” – dice Deng – “l’importante è che prenda i topi”. Gli Stati Uniti erano più ricchi e potenti. L’abbattimento del muro li ha fatti diventare gendarmi mondiali. Nei conflitti che sono seguiti sono aumentati il consumo di anfetamine, eroina, superalcolici, ma il Barolo non si spaccia in Iraq. L’est europeo non è uno sbocco determinante per l’esportazione italiana, giusto qualcosina, ma in compenso abbiamo perso la denominazione del tocaj.
Vi è un fatto però che cambia la prospettiva, ed è l’unico degno di nota, misconosciuto ai più: l’Unione Sovietica era il quarto produttore mondiale di vino, e la Georgia è madre e culla della vitis vinifera e il livello qualitativo dei sui vini era indiscusso prima del crollo del muro come lo è ora. L’Oste Z è stato in Georgia proprio qualche anno fa e poi ha fatto un giro in Barolo. Che ci sia un complotto contro l’Escobrillo? L’inserimento delle immagini dell’abbattimento del muro di Berlino nel docufantafilm non sono una licenza poetica, né costituiscono un parallelismo degno di nota, allora rimane una sola interpretazione che richiama il Fantozzi e il suo giudizio: “una cagata pazzesca”.